Centro Servizi Culturali UNLA di Oristano

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DEREK JARMAN/STORIA DI UN COLORE a cura di Simone Cireddu

Venerdì 14 Aprile
ore 18,00
Sala Centro Servizi Culturali UNLA – Oristano


DEREK JARMAN/STORIA DI UN COLORE

Relatore: Simone Cireddu

Nel maggio del 1956 l’artista visuale Yves Klein – dopo molteplici sperimentazioni – riesce a ottenere una inedita tonalità di blu oltremare. Un blu molto intenso e vellutato, ipnotico e profondo, concreto ma irraggiungibile, perfetta sintesi di terra e di cielo. Nel giugno del 1956 Yves Klein brevetta il suo blu, oggi conosciuto come IKB, International Klein Blue, identificato con il riferimento 286C nel catalogo Pantone. Nel modello di colori RGB, il codice dell’International Klein Blue è 0-47-167. «Voglio andare oltre l’arte, oltre la sensibilità, oltre la vita. Voglio entrare nel vuoto. Voglio morire, e voglio che la gente dica di me: ha vissuto quindi vive», scrive Yves Klein nel 1962.

Nell’agosto del 1987 il regista, scenografo, scrittore, pittore e giardiniere Derek Jarman inizia a pensare a un film totalmente monocromo, intitolato IKB: settantacinque minuti senza alcuna immagine, interamente dedicati alla vita di Yves Klein. Jarman scrive una serie di poesie che avrebbero dovuto interagire con la colonna sonora, ma dopo vari tentativi il progetto viene abbandonato.

Nel 1989 Derek Jarman scrive la sceneggiatura dell’ipotetico film Bliss, ispirandosi al pensiero di Yves Klein, a Le Metamorfosi di Ovidio e alla filosofia di Ludwig Wittgenstein. Senza un inizio e senza una fine, immerse nel vuoto del tempo e dello spazio, le immagini descritte da Jarman pulsano nel blu, dentro e fuori dallo schermo.

Il 6 gennaio del 1991, Derek Jarman e l’attrice Tilda Swinton mettono in scena a Berlino lo spettacolo performativo Symphonie Monotone. Uno schermo blu, la proiezione ritmica di diapositive, le musiche di Simon Fisher Turner: seduti a un tavolo, Jarman e Swinton leggono scritti teorici sul colore blu. Nello stesso anno il regista scrive una nuova sceneggiatura intitolata Blueprint: poesie e pagine del suo diario si alternano agli scritti teorici di Yves Klein.

Tra il 1991 e il 1992 Derek Jarman riduce il testo di Blueprint, privilegiando le parti poetiche. Elabora con Simon Fisher Turner una composita colonna sonora: stratificazioni di rumori ambientali, poesie, musiche di Erik Satie, dialoghi, citazioni letterarie, suoni, polifonie vocali e brusii.

Nel 1992 Jarman inizia a scrivere Blue: la struttura della sceneggiatura è scandita da considerazioni e dolorose riflessioni legate alla quotidiana convivenza con l’AIDS, diagnosticatogli nel 1986. Il regista vuole inventare un nuovo linguaggio cinematografico che possa trasmettere con efficacia l’impatto di un virus sconosciuto e invisibile. Per farlo, decide programmaticamente di svincolarsi da qualunque consueta e melodrammatica traccia narrativa. Senza remore e reticenze, con sobria ironia ora sferzante ora tragica, racconta le visite quotidiane all’ospedale londinese di San Bartholomew, le trenta pillole quotidiane, gli effetti negativi dei trattamenti, le lesioni alla retina che gli causano il restringimento del campo visivo e interminabili periodi di cecità. La progressiva perdita della vista avvicina con consapevolezza sempre maggiore Derek Jarman alla scelta monocromatica del blu di Yves Klein. Con la totale assenza delle immagini filmiche il regista risolve il problema della rappresentazione cinematografica del virus invisibile. La complessa colonna sonora di Simon Fisher Turner e le voci di Derek Jarman, Tilda Swinton, Nigel Terry e John Quentin raccontano la storia del film Blue e la vita dell’artista, tra poesie e pagine dei diari. E’ un unico fotogramma, per non ostacolare l’immaginazione. Un unico fotogramma blu. Un blu intenso e vellutato, ipnotico e profondo, concreto ma irraggiungibile, perfetta sintesi di cielo e di terra.

Il 12 giugno del 1993 Blue viene proiettato in anteprima mondiale alla 45ª Biennale d’Arte di Venezia. Qualche mese dopo, durante una delle sue ultime interviste, Derek Jarman dichiara: «Blue è in assoluto il mio lavoro migliore. Impossibile spiegarlo a parole: e infatti chi lo vede resta senza parole. Blue è un film strano, che turba e colpisce. In Inghilterra, dopo un’unica, piccola proiezione, ho ricevuto una montagna di lettere. Qualcuno ha detto: è come vedere un radiodramma. È vero, non ci sono immagini, ma è come se ci fossero, a giudicare dalle reazioni che provoca. Scrivere e offrire i suoni di un mondo è molto più efficace della messa in scena di quello stesso mondo attraverso attori che recitano. Blue ti fa sentire libero».

Simone Cireddu è nato a Oristano il 9 marzo del 1974. Storico dell’immagine in movimento e videomaker, si occupa in particolare di avanguardie cinematografiche, sperimentazione audiovisiva e documentari di creazione.