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KAURISMÄKI/Storia di due colori a cura di Simone Cireddu

27 DICEMBRE 2023 | ORE 18
SALA CENTRO SERVIZI CULTURALI ORISTANO

KAURISMÄKI/Storia di due colori a cura di Simone Cireddu

Ne ho abbastanza dei dialoghi.
Il mio fine ultimo è di sbarazzarmi
anche dell’immagine.
Aki Kaurismäki

Figlio di un’estetista e di un commesso viaggiatore, Aki Kaurismäki è nato a Orimattila, nel sud della Finlandia, il 4 aprile 1957. A 19 anni si trasferisce a Helsinki. Dopo aver lavorato occasionalmente come magazziniere, palombaro, sabbiatore, cartotecnico, postino, imbianchino, giornalista, critico cinematografico, muratore, operaio, lavapiatti, caldaista e manutentore di impianti, nel 1976 si iscrive alla Facoltà di Giornalismo presso l’università di Tampere. Nel 1980 interrompe gli studi e fonda la Villealfa Filmproduction Oy. Nei 43 anni successivi è assistente alla regia, attore e sceneggiatore. Ma è soprattutto regista di 18 lungometraggi di finzione e 2 documentari.

Nel 1990 Bruno Fornara è tra i primi a cogliere la specificità del fenomeno Kaurismäki, analizzandone l’attiva marginalità e il progressivo emergere di una cifra autoriale.

Sostanziale è l’asincronicità del cinema di Kaurismäki, caratterizzato da fissità glaciale dell’inquadratura, frammentarietà del racconto, uso esasperato delle ellissi e del fuori campo; e poi minimalismo espressivo, impassibilità dei personaggi, umorismo asciutto, severo, dimesso e sottotono; e infine dialoghi rarefatti e abbondanza di prolungati estenuanti silenzi. Attorno ai suoi laconici personaggi, Aki Kaurismäki ricostruisce un mondo stralunato e straniante, dipinto con evidenti tratti retrò. La disperazione, la profondità esistenziale e l’ironia che emergono dalle pellicole, definiscono l’inimitabile e poetica malinconia del suo cinema. Kaurismäki si dipinge come un regista umanista nato con cinquant’anni di ritardo, che propugna la scelta anticonformista di un ritorno alla semplicità e alla classicità. Con il passare del tempo, si concentra sempre più sulle forme essenziali di un esistenzialismo ironico puramente cinematografico.

Nel febbraio del 1999 Aki Kaurismäki presenta al Festival di Berlino la pellicola in bianco e nero Juha, l’ultimo film muto del secolo. Il soggetto del film è particolarmente triste e crudele: costruito su un classico dramma a tre, è tratto dall’omonimo romanzo di Juhani Ahoè. Il film Juha non è manifestazione di nostalgia o imitazione. Non rientra in quel gruppo di pellicole che ha tentato di adattare in forma comica gli elementi distintivi del cinema muto (scene accelerate, gesti esagerati e bruschi, accompagnamenti pianistici). Juha è un autentico film muto con didascalie, la cui costruzione si avvicina per dinamica e poesia al lavoro dei maestri di quella fase aurea. Possiede il gusto del nitrato d’argento, ricorda il tempo dell’innocenza del cinema. Costellata di didascalie, la pellicola è ambientata in un tempo a parte, onirico e instabile. È caratterizzata da differenti piani temporali che a volte non concordano: queste frizioni costituiscono una delle esperienze fondamentali della visione. Juha è la prova vitale della capacità di Kaurismäki di confondere le idee, spiazzare e ironizzare con dissonanze stilistiche e inattesi detournements. L’onnipresente colonna sonora di Anssi Tikanmäki, accostando motivi, timbri e sonorità tra loro estranee, aumenta il senso di straniamento del film.

Da circa tre decenni Aki Kaurismäki vive in Portogallo, nei pressi di Porto.

Nel 2005 – durante una lunga intervista poi confluita in Dialogo sul cinema, la vita, la vodka – lo storico del cinema Peter von Bagh gli domanda:
Dopo tanti finali da fiaba, cosa ti ha spinto a chiudere Juha in un modo così terribile?

E Kaurismäki risponde:
Era giunto il tempo. Il lieto fine cominciava a uscirmi dalle orecchie.

Simone Cireddu è nato a Oristano il 9 marzo del 1974. Storico dell’immagine in movimento e videomaker, si occupa in particolare di avanguardie cinematografiche, sperimentazione audiovisiva e documentari di creazione.